La storia di una foto… di caffè

19 Agosto 2019

Fermatevi per favore un istante ad osservare questa foto, l’ho scattata nel gennaio 2016: ritrae un ragazzo Maya Q’eqchì, figlio di un produttore della Coop SAMAC, con le ciliegie di caffè che ha raccolto quel giorno. Guardate le sue spalle e la testa, diritta. E gli occhi che guardano nella macchina fotografica. Sembra assente, inespressivo.

Fuori è già buio. E piove. Ha piovuto tutto il giorno.

 

Questo ragazzo si chiama Carlos Quiix Col, si è svegliato alle cinque di mattina e alle sei era in campo a raccogliere, nel piccolo terreno della famiglia. A volte ci penso a come deve essere, svegliarsi che già piove, con davanti dodici ore con i piedi nel fango scivoloso, la pioggia che cade dal cielo e dalle piante, che schizza negli occhi mentre cercano le ciliegie rosse al punto giusto. Senza l’aiuto della luce del sole i colori si fanno più incerti. E poi tornare alla cooperativa per portare il raccolto della giornata: in quel sacco ci sono 50 kg di ciliegie bagnate, il peso caricato sulla schiena e con una corda che passa sulla fronte perché mentre cammini, il sacco, prende le onde.

Tutto questo a fine giornata, lungo il sentiero fangoso. E continua a piovere. E il sacco, è qui.

Adesso, forse, da quegli occhi, da quel viso inespressivo, ci arriva tutta la stanchezza che deve provare, Carlos. Le spalle cominciano a cedere lievemente sotto la giacca bagnata, la stanchezza si espande dalla schiena e dalle ginocchia, l’unico desiderio è andare a casa a lavarsi, mangiare qualcosa e stendersi a letto.

Perché se le dodici ore di oggi sono state lunghe, ieri è stato uguale e domani molto probabilmente lo sarà: Samac è dentro una foresta pluviale, o piove o c’è la Chipi Chipi, la nebbia che sembra nascere dalle foglie degli alberi.

Carlos ha 13 anni, e queste sono le sue vacanze di Natale della terza media.

A tredici anni, Carlos non arriva a pesare i 50 kg che ogni sera porta sulle spalle.

Riuscite a ripensare a tutto quello che sapete con gli occhi di un ragazzo di 13 anni?

Lo sentite anche voi un groppo che vi prende alla bocca dello stomaco e vi toglie il respiro?

A me, quando fisso il suo sguardo, gli occhi si riempiono di lacrime.

Ma passiamo oltre, c’è dell’altro: tornate a guardare la foto e concentratevi sulla mano. Quella mano che non stringe quelle ciliegie: è contratta, dura, ferma. Provateci anche voi, fatelo adesso con la vostra mano destra. Quale sentimento sentite?

Si, proprio così: quella forza interiore che vi nasce dalla mano contratta è proprio “orgoglio”. Carlos prova orgoglioso di sé.

Ora tenete questo sentimento e guardatelo negli occhi; aspettate che fiorisca un particolare nuovo. La vedete quella lieve incurvatura delle labbra? È un sorriso.

Nella foto quasi non si vede, ma noi la possiamo percepire: Carlos, dentro di sé, sorride.

E quel sorriso non è rivolto alla macchina fotografica, ma a me, che sto di fronte a lui. Perché sono cinque giorni che sono qui a lavorare con questa comunità e quel sorriso mi sta dicendo: “Guardi qui, Señor. Ho vinto io!”.

Si, Carlos, hai vinto tu. E io ho perso.

E questa è una storia vera. Tutto inizia cinque giorni fa.

È il 2016. Come ogni anno negli ultimi cinque anni, avevo imboccato la porta della Valle Nascosta, era un mercoledì di metà gennaio. Aveva piovuto tutta la notte, e tanto. La mattina era luminosa e il sole caldo faceva evaporare un’aria pesante, densa. La pista di terra battuta si era sciolta come cioccolato gianduia lasciato al sole, ed il pick up si muoveva cauto, come il dito di un bambino.

Ero tornato perché finalmente avevamo terminato di mettere in pratica il progetto generale: ora bisognava farlo partire.

Chi ci segue da tempo sa di cosa parlo. Quindi la terrò breve: la SAMAC è una cooperativa di Maya Q’eqchìs. I Q’eqchìs vivono all’interno di una foresta pluviale che si stende sul territorio irregolare della regione, dai picchi di oltre 3000 alla piana di Tikal, dove ci sono le famose piramidi che la foresta ha inglobato.

I Q’eqchìs è l’unico popolo indigeno del Nuovo Mondo che è sopravvissuto alla conquista, mantenendo le proprie tradizioni e la propria lingua. Sono fieri ed orgogliosi, e non amano combattere. La loro identità risiede nel Popol Vuh, il Libro Sacro. Le regole del Popol Vuh mantengono vivo il sapere che l’uomo è fatto della stessa natura di Dio e vive in un Cosmo potente regolato da leggi complesse. Da sentire, seguire, rispettare.

I Q’eqchìs sono i guardiani del Popol Vuh, che in queste luoghi è sopravvissuto alla Conquista, al cattolicesimo, alle guerre mondiali, alla guerra civile. Oggi la battaglia si chiama Facebook.

La cooperativa SAMAC si trova a metà di una lunga vallata ripida, dove un’ansa del torrente crea una piana abbastanza grande da permettere di costruire il villaggio. Attorno le vette si stagliano oltre i 2300 mt, il villaggio è sui 1600 mt. Cooperativa e villaggio sono la stessa cosa.

Noi la chiamiamo La Valle Nascosta. Vi arrivai la prima volta nel novembre 2011. La situazione mi apparve subito particolarmente grave, quasi disperata: non c’erano giovani uomini, tutti partiti in cerca di fortuna. Solo vecchi, donne e centinaia di bambini come girini portati dalle onde. Le strade disordinate, la direzione della cooperativa assente, i giovani insofferenti e annoiati: SAMAC non sarebbe sopravvissuta più di due generazioni.

A parte tutto quello che era il “pacchetto” standard del Progetto Cafè y Caffè, proposi di intervenire in tre fasi. La prima fu organizzare una torrefazione nella sede della cooperativa gestita interamente dalle giovani donne, che ogni giorno andavano a vendere il caffè fino a Coban, a due ore di cammino. Questo avrebbe dato respiro finanziario alla comunità, impiego per i ragazzi e soprattutto la possibilità di rimanere al villaggio a vivere.

La seconda fu lavorare sul benessere sociale: organizzammo un ambulatorio medico (Centro de Atencion à la Mujer), un asilo infantile e una mensa per i bambini. Questo, oltre a risolvere alcuni problemi pratici importanti, servì ad aumentare il senso di appartenenza alla comunità.

Il terzo fu quello di pagare percorsi di formazione di alto livello ai ragazzi volenterosi, purchè tornassero a casa ad applicare quanto avevano imparato: agronomi con dottorato in gestione forestale e caffè, assaggiatori e tecnologi alimentari, infermiere, maestre per l’asilo e le elementari.

Avevo lavorato incessantemente con loro per cinque anni: negli ultimi due anni avevamo finalmente fatto partire la torrefazione e le donne lavoravano a pieno regime. I servizi avevano riscosso un ottimo successo, sia l’ambulatorio medico sia l’asilo. Molte giovani stavano studiando come infermiere e come maestre, e molte avevano intrapreso studi a Coban. Due ragazze si erano iscritte a medicina a Città del Guatemala. La cooperativa, inoltre, contava con quattro laureati in Scienze Forestali, sei assaggiatori di caffè e due tecnologi alimentari. SAMAC era diventata un modello per le altre cooperative della zona.

Il progetto aveva vinto il Primo Premio in occasione di EXPO 2015: alla cooperativa si erano presentati due fotografi della Magnum, un regista cinematografico, il Direttore di Anacafè e qualche Ministro del Governo del Guatemala. Foto e video della SAMAC giravano per YouTube e sui canali televisivi nazionali.

Io tornavo “sguillando” sulle piste fangose per “girare la chiave” e farli diventare completamente indipendenti. Era il mio ultimo intervento previsto, poi il progetto si chiudeva.

Il pick up svoltò a gomito per la stradina che portava all’ingresso della cooperativa. Le strade erano pulite e ordinate, le casette di legno e paglia avevano fiori nei giardini e alle finestre. Che emozione: a darmi il  benvenuto ci sarà di sicuro un’orchestra di marimba, pensavo.