piccoli produttori

Nacque un giorno l’Albero del Caffè

La costruzione del progetto richiese un intero anno di preparazione. Primo arrivò il nome: Albero. È un concetto potente. Amo profondamente i maestosi alberi subtropicali che con le loro radici fermano l’erosione del suolo e con la loro ombra rendono possibile la vita, sotto quei Soli.

L‘Albero della Vita è un simbolo antichissimo e trasversale a tutte le culture delle terre emerse: le radici che scavano nelle profondità della conoscenza permettono, all’uomo dotato di solidi valori (il tronco), una vita ricca di doni e felicità (foglie e frutti). Klimt ci aggiunge che le traiettorie della vita sono numerose ed intricate … ma i suoi rami sono troppo magri. Per me la vita bella è grassa. Malamente feci uno schizzo a mano su un tovagliolo, ci aggiunsi una tazzina di caffè, diedi tutto ai grafici che ci seguivano e nacque “L’Albero del Caffè”, nome e disegno.

L’Albero nasce come luogo di cura: un laboratorio artigianale che organizza il lavoro per alimentare il senso di identità del detenuto lavoratore, e del caffè usa la componente psicoattiva per aiutare a fissare e radicare questo ed altri stati d’animo positivi: un centro di stabilità emotiva facilmente recuperabile al bisogno, quando ricacciato nel mondo ostile si fosse perso nelle tempeste del rifiuto, della solitudine e dell’insicurezza.

Allora nel profumo del caffè in casa avrebbe trovato una luce a cui aggrapparsi.

L’impianto che nacque non assomigliava per niente ad una fabbrica industriale asettica che sforna pacchetti come fossero noccioline. Era invece un posto semplice e profumato. Persino silenzioso, per quanto possibile.

Io mi concessi il “lusso” di cercare una tostatrice a pietra refrattaria, come quella di Giorgio, solo un po’ più piccola. In torrefazione la chiamiamo “La Signora”.

I caffè… erano “i miei caffè”. Tra Italia, Olanda, Germania e Danimarca arrivavano una ventina di caffè che avevo seguito come progetti tra ICEA e cooperazioni allo sviluppo varie. Più o meno la metà potevo ricomprarli con continuità in piccoli lotti, senza dovermi esporre con importazioni dirette.

Potevamo replicare la strategia dei paesi nordici, all’avanguardia, creando un listino di monorigini e raccontando i progetti di filiera fino alla foto del produttore, ma così ci saremmo auto rinchiusi in una nicchia della nicchia della nicchia. Noi volevamo un caffè che piacesse a tutti. Come la pizza.

Replicai il sapore di una nota marca di crema spalmabile di cioccolato, che inizia per Nut e finisce… sempre!

Con due Robusta replicai la sensazione di cioccolato cremoso sulla lingua, che vira poi al liquoroso “sporcandosi” di fava di cacao. Con quattro Arabica replicai la sensazione della nocciolata in bocca. Infine, fiori di gelsomino in tazza e frutti di bosco nel retrogusto.

Erano sette magnifici progetti: Tanzania (il parco naturale sulle rive del lago Vittoria), Indonesia (un progetto di riforestazione dell’Isola di Flores), Brasile (l’arabica della Coopfam), Costa Rica (rete Sin Fronteras), due Nicaragua (Cecocafen e Prodecoop) ed Etiopia (il villaggio di Aleta Wondo). Tra Italia, Germania ed Olanda, potevo ricomprarli con continuità.

 

L’Albero del Caffè nacque come ramo d’azienda di Altercoop: c’era già una storia di cooperativa sociale e di progetti con il carcere, possedeva già molte delle autorizzazioni sanitarie necessarie e potevamo condividere l’amministrazione, almeno all’inizio. Potevamo partire leggeri, insomma, e concentrarci sulla sostanza.

La produzione cominciò a gennaio del 2012, con un detenuto. Il grosso del lavoro era per piccoli progetti equosolidali e biologici. Poi entrarono i Naturasì ed i CuoreBio, che avrebbero distribuito la Miscela per moka.

A marzo entrò la lavorazione del caffè dell’EZLN, quella del subcomandante Marcos, per l’Associazione Ya Basta! Arrivarono cinque bancali di caffè verde con il marchio della Resistenza e io non stavo nella pelle dalla felicità.

Ad aprile, in produzione eravamo a tre: un detenuto e due ragazzi svantaggiati della cooperativa.

Poi arrivò maggio. Il 20 maggio. Erano le quattro di notte.

Un rombo sordo attraversò le ossa, come se nude sbattessero l’una contro l’altra. La casa ondeggiò violentemente: una, due, tre volte. Poi silenzio. Il terremoto ci sorprese nuovamente una decina di giorni dopo con una scossa violentissima e tirò giù case, chiese e fabbriche. Continuò così per mesi, pareva non finisse più. La vita nella pianura non fu più la stessa.

Ci svegliammo ad ottobre nel mezzo della crisi economica, Altercoop entrò in difficoltà finanziaria. Rimanemmo lì, così, impantanati a metà del guado.

Ricordo ancora quella riunione, era mercoledì 6 marzo 2013. Aggiornamento del progetto torrefazione con la dirigenza della cooperativa: gli ultimi incontri erano stati un poco imbarazzanti, loro in crescente crisi e L’Albero che non poteva ancora camminare senza il sostegno della mamma. Aspettavo fuori dalla porta della Presidenza, dentro il CDA discuteva. Volavano parole dense di paura e rancore. La porta si aprì, qualcuno uscì. L’aria puzzava di sudore e lotta. Presi posto al tavolo, nessuno mi guardava.

Altercoop era una bella realtà, fatta di belle persone, coraggiose e con il cuore grande. Quando ero ancora ragazzo, li conoscevo attraverso i tanti progetti che facevano a Bologna. Non me la presi con loro quando mi dissero che L’Albero del Caffè doveva chiudere, che non stava in piedi e loro non ce la facevano a buttare i soldi in quella cosa strana che neanche si capiva. Non me la presi perché li avevo conosciuti quando le cose andavano ancora bene, e in quella stanza si avvertiva forte un odore di paura. Anche la mia. Non dissi nulla. Per un po’. Il mio cervello credo non fosse neanche lì. I minuti passavano, nel silenzio qualcuno cominciò ad alzarsi e a vagare nervoso per la stanza. Era ora che me ne andassi. Perciò parlai, ma era come se la mia voce venisse da altrove. Mi facevo carico io de L’Albero. Lo prendevo io. Rinunciavo da subito al compenso. Fino a quando non avessimo fatto il passaggio formale, ogni trimestre avremmo fatto i conti, se c’era utile lo prendevo io, se c’era perdita rimborsavo. Accettarono.

Uscii dalla stanza completamente rintronato. Per fortuna l’aria di marzo era fresca. Cominciava piano piano ad arrivarmi addosso il peso di quello che avevo fatto. Salii in macchina, e cominciai a guidare. Tornai a casa a notte fonda.

 

Dovevo trovarmi un lavoro. Dovevo trovare abbastanza soldi per vivere e per coprire i debiti de L’Albero, almeno per un anno. E dovevo però anche lavorarci, a L’Albero.

Fu così che l’Albero del Caffè divenne il principale strumento per lo sviluppo di progetti di cooperazione internazionale sul caffè, compresa la formazione dei tecnici di campo di diversi governi e di tanti altri progetti. Io ripresi a viaggiare, più o meno a mesi alterni. Ci sarà occasione per raccontare questo periodo, dal 2013 al 2015, oppure no. Ma se andate a spulciare sulla pagina Facebook di quegli anni qualcosa si trova.

La vita in famiglia non fu facile, in quel periodo. Poi Antonella venne con me durante un lavoro in India. Era il progetto del Nilgiri. Ne rimase innamorata. L’inverno fece maturare in lei il desiderio di dedicarsi a L’Albero e i suoi progetti, si licenziò dal suo impiego a tempo indeterminato, sicuro, e aprimmo insieme L’Albero del Caffè snc di Baschieri Alessio e Favilla Antonella. Era la fine di settembre 2015. A dicembre, con il TFR di Anto e impegnandoci entrambi con le banche, comprammo il ramo d’azienda da Altercoop, che fallì due mesi dopo.

Fu così che, espletate le necessità di legge, L’Albero del Caffè nacque di nuovo, il 6 febbraio 2016.

Non lo so per quanto tempo non siamo riusciti a darci uno stipendio e paura ne avevamo in quantità. Follia o passione che fosse, sentivamo che era la cosa giusta. Tanto ci spaventava quanto sapeva di felicità.

Di tutto questo ci sono un paio di cose di cui andiamo orgogliosi: L’Albero nasce come luogo di cura. Non è mai venuto meno a questa funzione neanche nei momenti più bui. Abbiamo sempre avuto almeno tre ragazzi in produzione, pagati regolarmente e a valore pieno. Anche se a casa dovevamo stringere la cinghia e io vedevo finire tutti i soldi che guadagnavo nella voragine. E anche dopo, con la cooperativa che è nata dalle ceneri di Altercoop.

L’altra cosa che ci rende fieri è che non siamo stati comprati dalle regole del mercato: nel gusto dell’etica c’è sia il gusto sia l’etica.

Il mercato del caffè è strano e altalenante: ci sono stati momenti in cui se avessi comprato a listino, come le altre torrefazioni, avrei risparmiato un sacco di soldi. Eppure ancora oggi garantiamo continuità di anno in anno alle nostre cooperative.

Il mercato delle capsule in plastica ci ha invitato mille e una volta. E abbiamo sempre rifiutato, cordialmente.

Credo sia questo il vero segreto per essere felici: rimanere sé stessi, dar voce alla nostra natura, seguire le idee che ci muovono passione.

 

Il caffè buono è giusto non ha difetti

Il gusto dell’etica, l’importanza dei difetti, l’importanza della comunità per un caffè di qualità. Sono questi gli argomenti approfonditi da Alessio Baschieri, in un articolo on-line sul sito del Mumac, il Museo del Caffè del Gruppo Cimbali con sede a Milano, un luogo polifunzionale dove ha sede anche l’Academy, preposta alla diffusione della cultura del caffè, alla formazione e alla ricerca.

Alessio, in qualità di esperto in difetti del caffè collabora da tempo con l’Academy, con l’obiettivo di formare nuove consapevolezze sulla filiera produttiva del caffè, per arrivare ad una piena comprensione degli elementi che fanno la qualità di una miscela.

Se vuoi leggere l’articolo intero clicca qui.

6, 7, 8 Ottobre: la nostra miscela bio al Festival del Cibo di strada di Cesena

Nella foto la folla al Festival del cibo di strada dello scorso anno
Una immagine della scorsa edizione del Festival

Anche quest’anno saremo presenti alla 10a edizione della manifestazione! Per l’occasione abbiamo selezionato la Miscela di caffè Pregiati Bio della nostra torrefazione. Alessio Baschieri, il Cafferaio dell’Albero del Caffè, ci descrive la composizione della miscela:

“La miscela ha un corpo liquoroso, con note di cioccolato, noce e nocciola tostata. Retrogusto dolce e persistente con note di cacao e mirtilli rossi”.

 

IL MAGAZZINO DEI CAFFÈ
“Officina Maltoni – Coffee Machine Restoration” e Alessio Baschieri, il Cafferaio
presentano:
Miscela di caffè Pregiati Bio della torrefazione L’Albero del Caffè

 

  • Caffè miscela espresso bar composta da: Tanzania Bukoba (15%); Robusta Naturale India Nilgiris-Presidio Slow Food (25%); India Biligiris (20%); Nicaragua Segovia (25%); Etiopia Wotto na Bultuma (15%).
    Aggiungendo 2,00 euro lo si potrà accompagnare da un piccolo dolce speciale!
  • Caffè preparato con sistemi di estrazione: Filtro – Napoletana – Moka – Turca
    Guatemala Huehuetenango Presidio Slow Food, selezione della Famiglia Martinez.
    Aggiungendo 2,00 euro lo si potrà accompagnare da un piccolo dolce speciale!

Clicca qui per leggere il programma della manifestazione.

Il sapere rende liberi!

Pochi e fortunati coltivatori sanno valutare con imparzialità il proprio caffè. Per questo il progetto Cafe y Caffe organizza corsi di cupping con i docenti ANACAFE. Le signore e i ragazzi di SAMAC e Chipolem Chiyo hanno appreso le basi del cupping, la terminologia dei compratori ed hanno confrontato il loro caffè con altri dell’Alta Verapaz. Continue reading

Da contadini a imprenditori con l’aiuto del Ministero degli Esteri

Vi giriamo un articolo de La Stampa che descrive il lavoro del Progetto Cafè y Caffè. Noi de L’Albero del Caffè siamo i tecnici di qualità e filiera del Progetto, abbiamo progettato gli impianti di lavorazione delle ciliegie, seguito la formazione degli agricoltori, aiutato nell’impostazione dei piani di gestione. A livello di torrefazioni, abbiamo partecipato nella progettazione, nella ricerca dei macchinari, nello studio del marcato, del packaging fino alla formazione alla tostatura e confezionamento.
Buona lettura … noi oggi ci vantiamo un sacco!!! Continue reading

Il nostro Manifesto

Dopo due anni e mezzo di collaborazione, siamo stati invitati da IFAD (l’agenzia della FAO per i progetti in campo agricolo) a presentare il nostro modello di filiera corta a
tutto lo staff IFAD.

Ecco cosa abbiamo detto; se avete 5 minuti, lo consideriamo un po’ il nostro “manifesto” Continue reading