Author: Alessio Baschieri

La storia di Andrea

Il mio nome è Andrea, ho 26 anni e sono di Pastaza. Pastaza è una provincia della Foresta Amazzonica in Ecuador. Quando studiavo nella capitale, leggevo che l’Amazonia è una regione ricca, interessante, fondamentale per la vita dell’intero pianeta. Gli stranieri ne sono innamorati. E tutti dicevano che la mia Pastaza era famosa per essere la più biodiversa in natura e cultura.

Io a quel tempo mi chiedevo dov’era tutta quella meraviglia di cui parlavano.

Sono cresciuta con l’idea che si deve studiare per trovare un lavoro sicuro e in città, lontano dal campo. Nelle famiglie contadine s’insegna così. Ma la gente della città disprezza i contadini. E i meticci. Io sono una meticcia e vengo da una famiglia di contadini. Per tanto tempo mi sono vergognata di entrambe le mie identità.

Quando ero molto piccola, mio papà lavorava come insegnante in una comunità Waodani.

Papà parlava il Waotedo ed aveva un profondo rispetto e ammirazione per i Wao. Vivevamo lontano dalla civiltà e la vita doveva essere davvero dura. Forse troppo, per la mamma, perchè andò via lasciando papà con me e mia sorella. Io non ricordo molto di questo periodo, ero molto piccola.

Io e mia sorella siamo cresciute nella casa dei nonni, con papà e gli zii. I nonni avevano un poco di terra e vivevamo del campo. Non c’erano strade e neanche la corrente elettrica. Come tutti, coltivavamo caffè, cacao e altri prodotti per la casa.

Io aiutavo nella raccolta, mi piaceva mangiare le ciliegie di caffè rosse e succose, anche se dovevo contenderle con vespe, formiche e ragni. Non mi piaceva berlo: era troppo forte e amaro per me. Nella mia memoria, il caffè è legato alla figura della nonna: abbrustoliva i chicchi sulle braci, li macinava con un mortaio di legno e passava la polvere in un colino con l’acqua bollente.

Nella piccola capanna dove vivevamo, c’era un focolare al centro della cucina. Le braci erano sempre accese. Noi ci sedevamo la sera, i nonni e gli zii con la loro tazza di caffè super forte e nerissima. Noi bambine e papà con la cioccolata. Papà raccontava le storie degli Wao.

Così sono cresciuta, fino alla fine delle scuole superiori. Il mio sogno era andare all’università nella capitale, a Quito. Sognavo come sarebbe stato. Ma un papà agricoltore non si può permettere di mantenere una figlia all’università, lo sapevo. E nella capitale, poi. Sapevo che era solo un sogno, e più si avvicinava la fine dell’anno scolastico più mi disperavo per il mio futuro. Cosa avrei fatto dopo? Non sapevo se avrei cercato un lavoro o sarei fuggita via.

Un pomeriggio, erano gli ultimi giorni delle superiori, ricordo che ero sul letto e piangevo. Papà si fermò sulla porta e mi guardava. In mano aveva dei fogli. Mi chiese se conoscevo l’Università di San Francisco, a Quito. Non sapevo cosa pensare: la San Francisco era l’università più importante e la più costosa di tutto il paese. Mi chiese se mi sarebbe piaciuto andarci. Mi disse che c’era una borsa di studio per il popolo Waorani e che il capo villaggio aveva garantito per me. Papà aveva fatto domanda e mi avevano accettata.

Fu l’estate più bella della mia vita. quando finirono gli esami delle superiori, le ciliegie di caffè cominciavano a maturare. Uscivamo presto la mattina, il sole era ancora basso oltre il grande fiume. Io avevo la musica nel cuore e mi sentivo leggera leggera. A volte la sera mi saliva una gran paura. Come sarebbe stata la città? Sarebbe stata cattiva? E come avrei fatto senza la mia famiglia?

Arrivò settembre: papà mi accompagnò a Puyo: sull’autobus c’era scritto “Quito”. Quando si accese tremava tutto … e ancora di più mentre si arrampicava sulle Ande per portarmi Quito. Sarei diventata un’archeologa.

(fine prima parte)